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Una parata vi stupirà

testo di Giovanna Amadasi, foto di Giovanni Cocco

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Il 5 giugno, a ridosso dell'inaugurazione della Biennale d'arte di Veneziana,
verso l'ora del tramonto, una schiera assordante e danzante percorrerà le calli tra i Giardini
e l'Arsenale. Un serpente di tenebra in una nuvola di rumore bianco:
a guidare l'insolito corteo, il musicista Arto Lindsay


Sarà perché in Laguna quest'anno non c'è un giovane curatore emergente ma un giovane professore svedese appassionato di filosofia come Daniel Birnbaum. Sarà perché in tempi di sboom del mercato torna di moda il rigore teorico al posto dell'effetto speciale. Sarà perché quando le certezze vacillano ci si aspetta che gli artisti diano una mano a dare un senso al mondo (per questo, forse, Birnbaum chiede ai suoi di "fare mondi").
La 53ª Biennale di Venezia si preannuncia quanto mai seria, forse perfino seriosa. Ma, mentre l'attenzione di tutti è puntata su un bar costruito da Rirkrit Tiravanija e una bi-blioteca realizzata da Tobias Rehberger (entrambi al Padiglione Italia ai Giardini) o su Yoko Ono che vince il Leone d'oro alla carriera, pochi sanno che l'evento più sorprendente e inaspettato di questa edizione è qualcosa che in una Biennale non si era mai visto.
Il 5 giugno un serpente nero, danzante e molto noise scorrerà per due ore - il tempo che va dal crepuscolo al tramonto - per le calli di Venezia, partendo dalle Fondamenta Nuove, svoltando poi per via Garibaldi (quel tratto di strada ancora popolare che ai turisti non interessa perché non assomiglia alle cartoline), per tornare infine verso i Giardini. Né scultura né performance, né concerto né installazione, ma tutte queste cose insieme. In una parola: una parata, un evento democratico e fuori formato aperto a tutti e non solo alla numerosa élite che riesce ad avere l'invito all'opening. Non è un caso che Arto Lindsay, musicista e artista invitato da Birnbaum a realizzare questa impresa un po' titanica, arrivi, culturalmente, diritto dagli anni Settanta newyorkesi e dal Brasile anni Sessanta: la sua parata, dall'esoterico titolo Multinatural (blackout), è un'opera d'arte pubblica e col-lettiva, che coinvolge oltre cento persone tra ballerini, musicisti, coreografi, designer, stilisti e videomaker e che rischia di segnare un vero punto di svolta nel modo di fare e guar-dare l'arte nelle biennali e fuori.
È un'impresa multiculturale, oltre che multimediale: realizzata e prodotta insieme alla Fondazione Claudio Buziol e al suo curatore, Andrea Lissoni, la parata ha come modello quelle del Carnevale di Bahia, coinvolge un coreografo e un architetto di New York (Richard Siegal e Peter Zuspan), musicisti brasiliani, ballerini veneziani e studenti del corso di Moda dello Iuav.
Di essa - dopo - non rimarrà quasi nulla: non fotografie in serie limitata, non sculture da esporre in galleria, non oggetti-feticcio da poter rivendere ai collezionisti. Al massimo un video che possa raccontare l'energia sprigionata nel breve tempo della sua esistenza. «Fare una parata è come impegnarsi per mesi a bruciare denaro - scherza Arto -, ma, d'altra parte, lo spirito del Carnevale è questo: un enorme dispendio di energie, di soldi, di fluidi corporei che finisce in poche ore». Lindsay (che sul suo sito si definisce «musici-sta pop, audioprovocatore, produttore e, oltre ogni definizione, artista») per i più avveduti frequentatori di arte e musica underground è una specie di mito, uno degli ultimi rappre-sentanti autentici di quel modo di fare arte, musica e vita che anche l'ultima generazione di artisti sogna ancora con nostalgia.
Nato in Virginia nel 1953 e cresciuto in Brasile, figlio di missionari, Lindsay ha attraversato con la sua biografia due continenti e più di cinque decenni, trovandosi sempre al cen-tro di luoghi e momenti epocali: bambino e adolescente nel Brasile degli anni Sessanta, quando esplode con Tropicália l'arte di Hélio Oiticica e la musica di Caetano Veloso e Gilberto Gil; giovane adulto nella New York degli anni Settanta e Ottanta, dove diventa una figura chiave della musica no wave e fonda prima i Dna e poi gli Ambitious Lovers, suonando la chitarra da autodidatta, come uno strumento performativo più che musicale («Io suono sulla chitarra, non "la" chitarra») in perfetta sintonia con Vito Acconci, Laurie Anderson e tutta quella scena artistica che aveva un'idea dell'arte come qualcosa da provare sulla pelle più che sulla tela. Per poi tornare e restare in Brasile, dove ha una famiglia e un figlio di quattro anni e dove produce i grandi della musica come Veloso e Marisa Monte.
Oltre che come autore di album stupendi tra samba e bossa nova, Arto lavora in questi anni con i grandi artisti totali che sono all'origine del Carnevale di Salvador de Bahia (me-no noto ma più vero e autentico di quello di Rio). Nel 2004 realizza per la manifestazione salvadoriana una parata dall'estetica primordiale e oscura con Matthew Barney, artista-star all'apice del successo e della notorietà. De lama lamina ("Dal fango una spada", ndr) rompe definitivamente le barriere tra l'arte colta delle gallerie e quella popolare e sfacciata del carnevale: è l'inizio di un percorso che, in cinque anni, porterà un nuovo genere artistico alla Biennale di Venezia. «Dopo un periodo di lavoro in Brasile accanto ad artisti del calibro di Alberto Pita, altrettanto innovativi, creativi, rigorosi di quelli che si incontrano nell'arte contemporanea, mi sono detto: perché non portare le parate nell'arte contemporanea? Il mondo dell'arte ha un modo particolare di guardare le cose e di prenderle sul serio, di chiedersi cosa significano adesso, che cosa significheranno tra cent'anni e così via. Volevo che anche la mia musica e l'arte di queste persone venissero osservate con la stessa serietà».
  CONTINUA ...»

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